Il Corriere di Bologna ha inaugurato oggi una serie di interviste a ex figure storiche della Virtus.
Il primo è Gigi Serafini - bianconero dal 1968 al 1977 - che è stato intervistato da Salvatore Maria Righi.

Ecco le sue parole:

L'è un casèn. L'incazzatura è ancora terrificante, siamo retrocessi nel campionato più triste e modesto degli ultimi dieci anni, con una sola retrocessione e bastavano alcune vittorie in più. Ma visto il delirio in cui siamo finiti, c'è solo una cosa da fare: tirarsi su le manichine e darsi da fare. Basta pensare al triplete e ai tempi di Danilovic. Bisogna prendere atto che siamo finiti in A2 e fare un programma con i giovani e al massimo due americani. Se punti sugli over 30 non ne vieni più fuori. Così come non si può pensare di affidare tutto a stranieri da 38mila euro, non si possono prendere per i fondelli i tifosi. E finita un'epoca, a Bologna, la storia della Virtus resta lì, in bacheca. Ma per poterla rivendicare, ti ci devi misurare.

Sarebbe una ricetta molto saggia, ma a voi ex vi interpellano mai? Veramente no, mai stato interpellato. Ma più in generale, nel nostro basket, gli ex giocatori sono proprio pochi, pochissimi perché se vedono qualcosa che non va lo dicono subito, e poi l'allenatore lo riferisce al presidente, e poi succede quel che sappiamo perché spesso certe cose non si vogliono dire, o vedere.

Non solo per questo è un altro basket, rispetto al vostro. Ora è tutto più fisico e molto meno tecnico. Sono tutti grandi atleti, arrivano con la testa sul ferro, ma spesso non sanno cosa fare con la palla, non sanno fare un palleggio arresto e tiro. Ora non hanno nemmeno più la voglia di insegnare i fondamentali. Per come la vedo io, non ci sono più allenatori. Ci sono gestori dei giocatori, te ne danno una dozzina e li devi mandare in campo, ma arrivano a basso costo da qualsiasi parte del mondo.

Un tritacarne che ha macinato anche la Virtus. Sono finiti i soldi, finiti i canditi. È questo il vero problema. Io penso che bisogna avere il coraggio di tornare indietro ai tempi di Porelli, cioè di girare per i campetti, trovare ragazzi e avere in coraggio di metterli in campo, come fa la Fortitudo con Candì che se fosse in A1 avrebbe un play americano al suo posto. Bisogna tornare ai tempi in cui i giovani arrivavano a Bologna da ogni parte, con una rete di osservatori. Se una volta si spendevano 300 milioni per due stranieri e adesso con 300 mila euro ne prendi sei, cosa potrai mai prendere?

Ma ora c'è la Fondazione. Il punto è proprio questo. All'epoca comandava Porelli e giusto o sbagliato che fosse, decideva lui. Ora non si capisce chi comanda. Non credo che la democrazia, diciamo così, possa funzionare nello sport. Non si possono mettere d'accordo 33 persone, non ci riusciranno mai.

Il disastro evitabile fa ancora più rabbia. Il problema più grande è stata l'assenza di una figura di raccordo tra società e squadra, tra presidente e allenatore. Qualcuno che dopo la terza o quarta sconfitta si faccia venire qualche dubbio sulle cose da sistemare, con una visione un po' globale diciamo. E invece non si è fatto nulla di nulla per fermare la china, e si è arrivati al disastro. Parlo da tifoso: si poteva fare di più e meglio, per impedire tutto questo.

E adesso? Si deve ripartire dalle giovanili, una base di un certo tipo. La Virtus ha vinto lo scudetto con i '95, cosa serve allora tenere il vivaio? Tanti giovani sono stati mandati via. Quest'anno mancava il cambio del play, l'anno scorso c'era Imbrò ma è stato massacrato di critiche.

Ma col fatto che non ci sono più i giovani di una volta, come la mettiamo? Ho giocato per dieci anni con la Virtus e per noi la cosa più importante era quella V nera sul petto, andavamo in campo incerottati e zoppi ma sempre attaccati alla maglia. È rimasto ben poco di quello spirito. Oggi chi glielo fa fare a un giocatore di fare tre allenamenti al giorno e dare tutto?

ED DANIEL: ABBIAMO IL TALENTO E LA FORZA PER PORTARE LA FORTITUDO IN SERIE A, MA DOVREMO FARE TUTTO ALLA PERFEZIONE
PESARO - FORTITUDO SUPERCOPPA 2001, PAGELLE E STATISTICHE