La storia di Connie Hawkins in Fortitudo, sinceramente, non ve la stiamo a raccontare, perché Lorenzo Sani, nel suo libro “Vale tutto”, l’ha già fatto e meglio di come la potremmo fare noi, a prescindere.
Diciamo, per chi non volesse (sbagliando) prendere in mano quel testo, che Connie Hawkins, come disse Larry Brown, “È stato Elgin prima di Elgin, Julius prima di Julius, Michael prima di Michael. È stato semplicemente a livello individuale, il più grande giocatore che io abbia mai visto”.
Oltre 11mila punti segnati tra NBA e ABA, qualche premio (qualche, eh..), a far dimenticare qualche problema con le scommesse (e qui rimandiamo ad un altro libro, stavolta di Flavio Tranquillo): insomma, la storia del basket americano negli anni 60 e 70.
Bene, cosa c’entra Hawkins con la Fortitudo? C’entra, perché a fine anni ’70 Hawkins venne a Bologna, a fare provino con la Fortitudo. Aveva 35 anni, all’epoca roba da museo, e la società non se la sentì di metterlo sotto contratto, in un’epoca in cui il turnover degli stranieri non era consentito: si fosse anche fatto una piccola bua, fine della festa. Lui ci rimase male, ma non prese l’aereo: restò a Bologna, fingendo con i parenti di essere stato firmato, raccontando a casa di partite mai giocate, e l’unica gara fu quella, a Natale, che appunto Sani ha descritto.
Un altro basket. Hawkins è deceduto ieri, a 75 anni. Avesse giocato in maglia Alco, chissà…

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