Ci sono stagioni che nascono male e finiscono peggio.
Per la Virtus che fu, una stagione disastrosa poteva iniziare con la lesione ai legamenti del play titolare Galilea, arrivato dal Barcellona con enormi aspettative - e distrutto dopo 6' della prima partita di Eurolega, a Istanbul - e terminare prendendo schiaffoni in semifinale non da un’avversaria a caso, ma dalla Fortitudo di Myers, Murdock e McRae, tra gli altri: 0-3 e pedalare.
In mezzo altre cose impensabili per l’epoca, come l’esonero di un allenatore - Alberto Bucci - vincitore di due scudetti recentissimi nonchè di quello della stella - mica l’ultimo arrivato, e la questione Komazec, col croato che a un certo punto si rifiuta di giocare, dicendo di volersi operare contro il volere della società, finendo così per sempre sul libro nero di Alfredo Cazzola e dei tifosi virtussini.
Un disastro - quindi - soprattutto in quegli anni lontani dove vincere (o quantomeno andarci vicino) era non l’eccezione ma la regola, e il ricordo deltriplete di scudetti ancora di freschissima memoria.
Eppure, anche in una stagione così grama ci fu una soddisfazione. Una Coppa Italia, una piccola e misera Coppa Italia, ma vinta in casa e in maniera inaspettata. Già, perchè la Virtus del marzo 1997 era in grave difficoltà, appunto fresca di esonero di Bucci e della deflagrazione del caso-Komazec. In panchina c’era Roberto Brunamonti, ritirato l’anno prima e senza tesserino. Ufficialmente risulterà Lino Frattin, infatti.
Si gioca a Casalecchio, e l’avversaria della semifinale è la Mash Verona di Mike Iuzzolino, pessimo cliente, che infatti in breve si porta avanti anche di 11 lunghezze. Brunamonti però pesca dalla panchina Chicco Ravaglia, che pochi mesi prima era stato richiamato da Varese, mandando Morandotti in Lombardia. Ravaglia risponde presente a suon di bombe, prima firmando il parziale che rimette in parità l’incontro, e poi nel caldo finale facendo giocate importanti che guidano i suoi al successo per 74-68. E a fine partita si parlerà tanto del 21enne talento nato a Castel San Pietro, a cui viene dato il pesante titolo di “erede di Brunamonti”. La storia purtroppo poi ce lo porterà via troppo presto.
L’altro che emerge in quella partita è Bane Prelevic, un altro di cui vale la pena parlare. Arriva dal Paok da comunitario (serbo di passaporto greco, primo anno dopo Bosman) e col pedigree da campionissimo. In Grecia, e anche in Coppa dei Campioni, ha sempre fatto bene, anzi strabene. Eppure qui non sfonda, anzi. E’ decisamente sovrappeso, tanto da meritarsi il soprannome di “Oronzo” dal notopersonaggio televisivo di Raul Cremona. E - dopo un inizio promettente - per i primi mesi gioca da schifo, inutile girarci attorno, tanto da perdere il posto da titolare a favore di un Alessandro Abbio in grandissima crescita. Da sesto uomo non funziona, e non funzionerà per tutta la stagione. In Coppa Italia però si ricorda di chi è. In semifinale mette i punti della sicurezza negli ultimi minuti, e in finale gioca decisamente alla grande. L’avversaria è la Polti Cantù, che a lungo si aggrappa a un immenso Thurl Bailey da 23 punti e 13 rimbalzi, totalmente inarrestabile per i lunghi bianconeri. Ma Prelevic ne mette 18, vince il titolo di MVP (qui nella foto d’ordinanza, con pancetta in bella vista) e regala ai bianconeri l’unico trofeo di una stagione travagliata. Si spera si sia sbloccato, ma non sarà così. L’anno dopo tornerà in Grecia e farà di nuovo bene, contribuendo a portare l’AEK in finale di Eurolega. Già, quell'Eurolega, a cui la Virtus si qualificherà per il rotto della cuffia - nel quarto contro la Virtus Roma di Davide Ancilotto - grazie ai canestri di Patavoukas e di Chicco Ravaglia, ancora.

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